VOGLIO DIVENTARE ASSISTENTE SESSUALE
Un interessante commento su questo tema
Pubblichiamo un articolo che riprende una questione delicata. In Italia parlare apertamente di sesso fomenta opinioni contrastanti, è ritenuto sconveniente, e pesante è il giudizio morale sulla prostituzione, che a tutt’oggi è ancora questione non regolamentata. L’esperienza fatta oltre il confine, in Svizzera, è utile per chiarire alcuni punti fino ad ora confusi. Qual è la differenza tra assistenza sessuale e prostituzione? Ci sono dei limiti da rispettare? A quali bisogni può rispondere un’esperienza di questo tipo, e cosa significa una sessualità completa? Onestamente è difficile pensare che si possa “comprare” come al supermercato qualcosa che si avvicina molto all’affetto, pur senza esserlo. A mio avviso bisogna mettersi in gioco e – per quanto possibile – cercare una relazione che offra sentimento oltre lo slancio fisico; quando però proprio il fisico presenta degli ostacoli difficili da superare, anche un’esperienza solo sessuale, adeguatamente gestita, è più che lecita.
Valentina Bianco
I disabili sono asessuati. L’affermazione vi crea disagio, vi appare assurda, sgradevole, fuori luogo? Pensateci un attimo e ditemi quante volte avete avuto occasione di ascoltare o di partecipare a conversazioni su questo tema se non siete “addetti ai lavori”. Non spesso, ne sono certa. Ammettiamo che un inspiegabile (peraltro ambiguo) pudore aleggia intorno ad alcuni argomenti, che pure appartengono alla nostra vita tanto quanto altri, ma per ragioni culturali, religiose o… vergognose, parlarne sembra sconveniente. Sesso, disabilità e per caso a volte anche omosessualità, ed ecco che il volto dell’interlocutore si deforma in un imbarazzato aborto di sorriso. Meglio non avventurarsi su terreni pericolosi, tanto più quando ne potrebbero emergere mostri che ci spaventano, perché si avvicinano un po’ troppo alle nostre zone grigie, quelle che ci impediscono di esprimere al volo un’opinione, peggio ancora un giudizio. Meglio lasciar perdere, no?
Ehm… a dire il vero, no. Anzi. Auguriamoci buon viaggio (a me e anche a voi, se continuerete a leggere), perché stiamo per inoltrarci proprio su uno di questi campi minati.
A scanso di equivoci alla provocazione iniziale diamo subito ovvia confutazione. No, i disabili non sono asessuati, non sono angeli né eterni bambini né mitiche creature che hanno perso per strada pulsioni e desideri che tutti noi abbiamo – e che tutti noi proviamo a gestire, a volte riuscendoci, a volte meno, in ogni caso cercando ognuno un proprio modo per stare bene. E uno di questi modi è impedire che l’inespresso abbia la meglio e che un tema così delicato cada sul pavimento dell’indifferenza come una piuma sulla neve, lasciando però nelle nostre possibilità evolutive l’eco di un tonfo sordo.
Quindi proviamoci, mettiamo da parte premesse del tipo “questo programma è sconsigliato a un pubblico sensibile” – perché le nostre sensibilità si affinano ad allenarle, quando ci mettiamo in gioco sospendendo il giudizio e provando a capire. Come per esempio ha fatto Claire, trentenne che ha scelto di raccontare la sua decisione nel documentario di Stefano Ferrari “Io, assistente sessuale”, che trovate qui, sul sito di LoveGiver (dove tra l’altro è consultabile una ricca raccolta di spunti anche rispetto alla situazione in Italia). Insegnante di francese, pianista e artista a Losanna, Claire ascolta le sue paure e quelle degli altri, provando a disegnare un nuovo rapporto con il sesso, certo, ma anche con il tempo e con le opportunità. Perché se le opzioni di avvicinarsi alla sessualità si moltiplicano quando sei abile, quando sei dis-abile, le occasioni si dematerializzano: il tuo è un corpo che nessuno vuole veramente toccare e, se accade, spesso accade con la barriera dei guanti. “Ti vestono, ti spogliano e ti lavano, le mani degli altri tu le senti soltanto per questo”, è il commento di Maximiliano Ulivieri, presidente del “Comitato per l’assistenza sessuale alle persone con disabilità” e blogger de Il Fatto Quotidiano. Insomma, finisci per essere tu stesso disgustato dalla casa che abiti, finisci per accettare che gli unici rapporti fisicamente rilevanti in cui tu possa sperare siano quelli di cura. E intorno alla parola cura si affollano le domande.
Un(‘)assistente sessuale non è equiparabile a personale infermieristico, anche se l’idea di una cura erotica va tenuta in considerazione, soprattutto nelle persone che hanno handicap mentali, per le quali può essere utile aiuto per superare barriere e timori, ma per le quali è necessaria un’ulteriore prudenza onde evitare fraintendimenti e frustrazioni. Qual è allora il ruolo degli/delle assistenti sessuali per chi ne fa richiesta? Alcuni riferimenti li abbiamo: il fatto di essere pagati, ma di non svolgere questo lavoro in via esclusiva; il fatto di limitare le visite a una cadenza superiore alle 6 settimane, per evitare che si instauri un rapporto equivocato come (im)pegno d’amore; il fatto che la relazione rimanga una prestazione verso un “beneficiario” che deve aver chiaro lo scopo e i limiti di questo incontro. Il fine è lo sviluppo personale, una crescita dell’autostima, un’opera di scoperta di sfumature spesso fuori portata. Sebastien, uno dei ragazzi disabili che ha chiesto la presenza di Claire, ammette che “con un handicap fisico è fuori da ogni dubbio che la probabilità di trovare l’amore non sia grande”, e riconosce “un rapporto conflittuale con un corpo che non ti obbedisce e con il quale non è sempre facile entrare in armonia”. La presenza di Claire, per lui come per altri intervistati, ha in fondo un obiettivo condiviso: fare in modo che un corpo che è più spesso fonte di preoccupazioni e disagi sia ogni tanto anche dono di piacere.
Lo so, c’è una domanda che ci teniamo dentro, forse per discrezione, ma che vorremmo tanto poter porre, e che ha a che vedere con i rapporti sessuali a pagamento. Tra assistenza sessuale e prostituzione il confine è molto sottile, e ci chiediamo se a volte non sparisca perfino. L’interrogativo è frequente, e ad esso prova a rispondere Catherine Agathe Diserens, pedagogista della sessualità e formatrice di assistenti sessuali per persone con disabilità: l’assistenza sessuale è assimilabile alla prostituzione per alcuni aspetti, ma non coincide con essa. La formazione che il personale riceve (riguardante anche aspetti legati a gestione dello stress, conoscenza di se stessi, coscienza dei propri blocchi emotivi), la cura per l’ambiente e la persona, la durata degli incontri, la non clandestinità e l’importanza data al dialogo e all’ascolto sono le principali differenze. Possono però persone formate e pagate garantire libero accesso a una sessualità vera? L’assistente sessuale è una figura speciale nella vita affettiva e sessuale in generale. Grazie a lui/lei, le persone con disabilità sperimentano una forma di contatto nuova con il proprio corpo e con quello degli altri, provano a esprimere una sessualità che altrimenti non potrebbero esprimere, sperimentano la possibilità di una risposta concreta e molto fisica quando, necessariamente, hanno dovuto e continuano a coltivare prevalentemente lo spirito.
“Vorrei solo che le persone riflettessero su come si sentirebbero se non potessero né muoversi né toccarsi”, osserva una delle donne intervistate nel documentario. E lo sforzo di immedesimazione può spingersi più in là. Chiedereste ai vostri genitori di aiutarvi a soddisfare un desiderio sessuale? Chiedereste a un familiare di fare per voi una telefonata a una escort per prendervi un appuntamento? Le persone con gravi deficit motori sono costrette a farlo. Sono costrette a condividere con altri dettagli molto intimi della propria sfera di desideri e impulsi. E a muoversi furtivi in un universo sommerso che chiede visibilità, che in fondo è un altro modo di dire dignità. Perché la sessualità è una condizione presente in moltissimi ambiti della nostra quotidianità per non dire freudianamente in tutti. E anche da lì impariamo, in ogni singolo giorno della nostra vita. In Italia se ne parla da anni, a volte con l’ottusità partitica che ci è familiare, altre con stupefacenti leggerezza e ironia che vanno oltre la capacità di molti di noi di sorridere dei propri limiti. Ma sembra sempre difficile accettare un fatto tutto sommato molto semplice: non è una questione di dovere. I disabili non devono per forza avere esperienze sessuali. Come per ciascuno di noi dovrebbe essere una scelta, ma una scelta è possibile solo se le condizioni per farla ci sono. E a creare queste condizioni di diritto contribuiamo tutti.
Anna Molinari
Tratto da Unimondo.org