TORNARE A MUOVERSI DOPO UNA LESIONE MIDOLLARE CON LA STIMOLAZIONE ELETTRICA: AVANTI A PICCOLI PASSI

Tre pazienti con paralisi alle gambe hanno recuperato qualche capacità di movimento grazie alla stimolazione elettrica del midollo spinale attraverso un impianto wireless e un nuovo protocollo di riabilitazione. Si raccomanda sempre molta, molta cautela di fronte a notizie di questo genere.

È stato salutato come un importante passo avanti, di quelli che segnano il cambio di rotta. Nel caso in questione a segnare il cambio di rotta nel campo del trattamento delle paralisi da lesioni del midollo spinale è la pubblicazione di un paio di studi sulle riviste del gruppo Nature (Nature e Nature Neuroscience) che si aggiungo ai risultati incoraggianti avuti nello stesso campo da altri gruppi di ricerca. Quanto emerge da queste scoperte mostra che la stimolazione elettrica del midollo spinale, abbinata a una sostenuta riabilitazione, è capace di riattivare le fibre nervose, bypassando le lesioni che hanno interrotto la comunicazione tra cervello e nervi (e muscoli) periferici. Si tratta di risultati positivi e certamente innovativi, ma da prendere con cautela, visto il ridotto numero di persone su cui sono state testati. Ma che, per dirla con le parole dell’esperto di medicina riabilitativa Chet Moritz della Univeristy of Washington (Seattle), ci spingono a ripensare il modo in cui vediamo e trattiamo le lesioni al midollo spinale.

La stimolazione elettrica per riaccendere i muscoli

Le lesioni al midollo spinale distruggono la comunicazione nervosa, impedendo di conseguenza anche la stimolazione e l’attivazione dei muscoli a valle. Al momento le terapie che hanno dato i migliori risultati nel trattamento di queste lesioni, ricordano i ricercatori guidati da Grégoire Courtine del Politecnico Federale di Losanna (Epfl) che firmano la ricerca su Nature, sono state le terapie fisiche (activity-based therapy), ancora più efficaci se abbinate alla produzione volontaria di movimento (laddove possibile).

Questo perché la combinazione delle due attività è in grado di favorire una riorganizzazione neuronale che facilita il recupero.

Ed è per questo che da anni sono in fase di studio esoscheletri con attività di stimolazione elettrica, per favorire il movimento attivo dei muscoli e la riorganizzazione neuronale. Come intuito in passato e come raccontavano altri team di ricercatori appena un mese fa, con l’annuncio di tre pazienti che erano riusciti a compiere qualche passo di nuovo sulle proprie gambe grazie a un elettrodo impiantato a livello del midollo spinale, capace di sollecitare le fibre nervose.

Modulare i segnali nel tempo e nello spazio

Lo studio di Courtine e colleghi è per certi versi un gemello di quelli più recenti, anche se presenta alcune differenze. “Le più grandi riguardano le modalità di stimolazione delle fibre nervose”,ricorda Moritz “ il team di Courtine, infatti, non ha applicato una stimolazione continua come fatto dagli altri ricercatori ma ha effettuato una mappatura dell’attività dei neuroni motori combinata a una serie di simulazioni per elaborare uno schema dettagliato di stimolazione nervosa, che fosse variabile nel tempo e nello spazio”. Per una stimolazione più naturale e meno empirica rispetto a quella continua (i cui effetti non si osservano generalmente quando la stimolazione cessa), spiegano i ricercatori.

Il motivo di un nuovo protocollo di stimolazione ha a che fare con la natura stessa del movimento che si vuole recuperare: “Sappiamo da tempo che la stimolazione elettrica continua può funzionare nei modelli animali –racconta a Wired.it Silvestro Micera del Politecnico di Losanna e della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, tra i firmatari dell’articolo apparo su Nature Neuroscience che accompagna il lavoro di Courtine – ma esistevano alcune difficoltà a trasferire questo lavoro sugli esseri umani: in buona parte per le differenze anatomiche esistenti tra noi e i roditori. Gli esseri umani hanno fibre nervose più lunghe”. Questo, continua l’esperto, fa sì che durante la stimolazione elettrica epidurale (in modalità continua) non si attivino solo i muscoli ma indirettamente vengono coinvolti anche i nervi sensoriali: “Quando camminiamo riceviamo continuamente delle informazioni sensoriali dalle gambe e dal piede: queste informazioni relative alla propriocezione vengono integrate a livello del midollo spinale e ci aiutano a camminare”. Ma la combinazione di stimolazione artificiale con quella sensoriale possono influenzare e compromettere l’efficacia della stimolazione indotta a livello del midollo. Micera e colleghi hanno condotto della analisi confrontando le varie risposte alle stimolazione tra roditori ed essere umani, e hanno effettuato una serie di simulazioni che suggeriscono come una stimolazione non continua ma modulata, somministrata sotto forma di impulsi, permettesse di ridurre l’interferenza con le informazioni sensoriali. Questo, presumibilmente, dovrebbe aumentare anche l’efficienza stessa della stimolazione.

Tornare a camminare

Il team di Courtine ha sostanzialmente portato nella pratica tutto questo: ha elaborato un modello di stimolazione elettrica modulato nel tempo e nello spazio, per una stimolazione più mirata, spiegano i ricercatori. Tre sono stati i pazienti coinvolti, con lesione grave del midollo spinale e con paralisi parziale o completa degli arti inferiori. “Abbiamo impiantato una serie di elettrodi lungo il modello spinale, che ci hanno permesso di colpire i singoli gruppi di muscoli nelle gambe – ha spiegato Jocelyn Bloch dell’Ospedale universitario di Losanna, parte dell’équipe – configurazioni di elettrodi selezionati attivano così alcune regioni del midollo spinale, mimando i segnali che dal cervello sarebbero rilasciati per produrre il movimento necessario alla camminata”. Questi segnali regolati nel tempo e nello spazio, trasmessi via wireless a un generatore di impulsi impiantabile (a sua volta collegato a una serie di elettrodi), hanno permesso ai tre pazienti di tornare a camminare con l’aiuto di un supporto per il peso (fissato al torace e posizionato sopra la testa) solo dopo una settimana di test. Fondamentale durante tutto il percorso è stata la combinazione dell’intenzionalità del movimento con la stimolazione, ricordano degli autori.

Questo protocollo ha permesso ai pazienti, in seguito alla riabilitazione, di riuscire a camminare indipendentemente con un supporto (come un deambulatore) durante stimolazione, anche per 1 km, o di essere in grado di eseguire dei movimenti delle gambe anche senza stimolazione. Le lunghe sessioni aiutano ad innescare i meccanismi di plasticità neuronale dipendenti dall’attività, spiegano dall’Epfl. “È come se, con la combinazione di stimolazione e riabilitazione fossero state create nuove connessioni capaci di aggirare l’ostacolo rappresentato dalla lesione spinale nello spazio rimasto a disposizione”, commenta Micera. Secondo il ricercatore un approccio simile potrebbe essere usato a scopo riabilitativo per lesioni incomplete e come un aiuto per lesioni complete: “L’impressione che questi studi suggeriscono è che quanto meno gravi sono le lesioni quanto più è possibile immaginare una riacquisizione dei movimenti libera un giorno dalla stimolazione”, afferma Micera. I prossimi passi saranno ora quelli di elaborare e testare un protocollo riabilitativo che riproduca tutta la biomeccanica del movimento, sia per gli arti superiori che inferiori.

Le impressioni dei pazienti

David, 28 anni, uno dei pazienti trattati, sta preparando l’installazione a casa di tutto il necessario per permettergli di continuare con la stimolazione. Prima non riusciva a fare che qualche passo con il deambulatore, dopo la riabilitazione riesce a farne pochi, ma senza nemmeno bisogno di assistenza. È’ ancora legato alla sua sedia a rotelle, ma ha fiducia. “Vediamo quanto possiamo andare avanti con questa tecnologia”. “I medici mi avevano detto che non sarei più stato in grado di camminare”, racconta invece Gert-Jan, 35 anni: “Ora posso camminare per piccole distanze con l’aiuto della stimolazione elettrica e le stampelle, e anche senza stimolazione. La forza dei miei muscoli è aumentata sensibilmente”. Per Sebastian, con gambe completamente paralizzate dal 2013, il recupero è stato minore e per la riacquisizione di alcuni movimenti (come l’estensione della gamba o la flessione dell’anca) sono serviti tre mesi in più, rispetto ai 5 previsti dal protocollo. Per lui, che parla della stimolazione elettrica come di un’opportunità per la mente e per il corpo, i ricercatori hanno adattato il protocollo alla sua bicicletta.

Servono cautela e nuovi studi

Mettendo insieme i risultati ottenuti dai diversi team e le impressioni dei pazienti quello che emerge è che la stimolazione elettrica potrebbe rivoluzionare il trattamento delle lesioni spinali. Ma non bisogna farne però un magic bullet, ricorda Moritz, ricordando che gli effetti osservati andrebbero piuttosto imputati a una combinazione della stimolazione e un’intensa riabilitazione, protratta per mesi. E se è vero che i risultati sono incoraggianti rimane ancora molto da fare: stabilire per esempio quale tra i protocolli di stimolazione sia più efficace, se quello in stimolazione continua o modulata nel tempo e nello spazio. Senza contare che rimane ancora da replicare quanto osservato su un numero più grandi di pazienti per capire quale approccio potrebbe essere più efficace e per chi.