La storia di una “Caregiver”, prima di tutto donna e poi anche moglie di un marito tetraplegico dopo un tuffo.
La sua crisi e la sua ripartenza grazie anche allo sport.
Una testimonianza che merita lo spazio anche sul ns sito,
proprio ad evidenziare anche l’importanza e le difficoltà delle persone che ci stanno accanto.
Tratto dal settimanale “Verona Fedele” … (sotto trovate anche l’articolo in formato “giornale”
«Senza tutina da supereroe sono riemersa da un pozzo»
Il marito tetraplegico dopo un tuffo, Sabrina racconta la rinascita come persona che lo sostiene e come coppia.
Mi ero annullata per seguirlo, mi sono ripresa con lo sport e una nuova testa.
Seguire qualcuno richiede il doppio di energie e necessita anche di un sostegno
di Francesca Gardenato
Un tuffo ha stravolto la sua vita e quella di suo marito. L’acqua l’ha segnata, ma poi l’ha salvata attraverso il triathlon e l’attività cinofila e oggi continua a tuffarsi con entusiasmo nella vita.
Sabrina Schillaci è un’atleta di endurance e si occupa di formazione e coaching, vive in Brianza, ma ha una casa a Manerba del Garda. Lo scorso 28 febbraio ha presentato a Desenzano il suo secondo libro, Volevo essere un supereroe, ma il vestito di Wonder Women era finito (TraccePerLaMeta edizioni): un incontro in cui si è parlato del potere salvifico dello sport, di disabilità, delle responsabilità e dello stress che accompagna il ruolo di caregiver, ma soprattutto di rinascita.
Nel suo libro Sabrina, scrittrice con un passato da architetto, raccoglie i benefici dello sport o, meglio, dei “poteri da supereroe” che si conquistano praticandolo. Quei poteri che permettono di affrontare di petto la vita e di sconfiggere le delusioni, i problemi, i traumi e tutto ciò che ci fa credere che la vita non valga la pena di essere vissuta.
Grazie allo sport, Sabrina è rinata, dopo un periodo molto difficile scaturito da un episodio che ha segnato la vita sua e di suo marito Davide, rimasto tetraplegico in seguito a un tuffo di Ferragosto nelle acque del lago di Garda.
Sabrina ha cominciato a praticare triathlon nel 2014 per superare lo stato depressivo in cui era scivolata dopo l’incidente di Davide nel 2007, a pochi passi dalla loro casa di Manerba. La disabilità si è appropriata della sua vita “normale”, cambiandola e costringendo entrambi i coniugi a ricominciare.
Nel 2015 le prime gare di triathlon e nel 2016 il primo Ironman a Zurigo, e poi via altre competizioni, prediligendo la lunga distanza, l’unica in grado di darle la possibilità di mettersi in gioco, di utilizzare le sue potenzialità e di superare ostacoli apparentemente insormontabili.
È anche fondatrice di “Race Across Limits Odv”, associazione nata per supportare, informare e sostenere la figura del caregiver (chi assiste una persona fragile), promuovendone e tutelandone il ruolo, la dignità e il benessere.
Nel 2024, ha organizzato il progetto “Perché io me lo merito”, percorso per la crescita personale dei caregiver, delle persone fragili e in difficoltà, per ritrovare stima e amore verso se stessi.
– Cosa ha condizionato la vita o, meglio, orientato la vita di Sabrina fino a oggi?
«Un tuffo nell’acqua. Il tuffo è una metafora del cambiamento: mi fa venire in mente l’immagine di una boccia con dentro il pesciolino rosso che salta fuori per tuffarsi in mare aperto. Il primo tuffo è stato quello che ha stravolto completamente la nostra vita, un tuffo che non posso dire positivo, però che ha acceso un cambiamento stravolgente, rendendo Davide tetraplegico. Il secondo tuffo è molto più positivo ed è quello dell’Ironman, che mi ha risvegliato da quello stato catatonico in cui ero scivolata, da un’anestesia emozionale che avevo ricercato per non soffrire più. Assistere al tuffo degli atleti all’Ironman di Nizza è stata una scossa: mi ha ridato la voglia di riprendere in mano la mia vita. Il terzo tuffo è quello che continua ancora oggi e ha innescato un ulteriore cambiamento. Ha il volto del mio cane, con il quale ho iniziato un percorso per diventare unità cinofila, con l’intento di riportare mio marito in acqua e di aiutare gli altri… Oggi continuo a tuffarmi: ho fatto anche il corso da bagnino, per adoperare al meglio le mie competenze come unità cinofila».
– Con suo marito come è andata dopo l’incidente, quando si è trovata impreparata ad assisterlo?
«Durante l’anno di ricovero di Davide, mi hanno insegnato a occuparmi di lui e della sua igiene, a spostarlo; non ho avuto invece alcuna preparazione dal punto di vista emotivo e mentale. Nessuno mi aveva detto che avrei potuto perdere di vista me stessa e così è accaduto».
– Tra lei e suo marito c’è un legame forte, che ha resistito al tempo e al peggiore incidente. Anche questo non è scontato: sopravvivere, agire e reagire insieme. Quanto amore e quanta fiducia reciproca ci vogliono per arrivare sino a qui?
«Il nostro è stato un grande amore. Nel momento in cui Davide si è fatto male, io dico sempre che ho subito un lutto perché ho perso la persona che ho scelto di sposare. Poi ho imparato a reinnamorarmi di lui. Non parlo tanto di un cambiamento fisico, ma alludo al fatto che anche lui con l’incidente si era spento. Ciò che conta molto è la condivisione di valori importanti. Abbiamo festeggiato lo scorso anno i 30 anni insieme. Quando c’è stato l’incidente eravamo sposati da 13, quindi abbiamo fatto più anni del “secondo matrimonio”. Ma il fatto di divertirci e ridere ancora insieme, nonostante la batosta che la vita ci ha dato, è fondamentale».
– Come nasce l’idea dei superpoteri, che è alla base del suo libro?
«Quando ho assistito all’Ironman di Nizza e ho visto tutti quegli atleti pronti a tuffarsi in un mare burrascoso, con il cielo cupo, ho pensato a loro come dei supereroi. Mi sono detta: chi è in grado di fare una cosa simile deve essere per forza un eroe, e da lì è partito tutto. Ho iniziato a pensare che, se fossi diventata come loro, sarei divenuta un supereroe e avrei avuto le capacità di affrontare la nuova vita con la disabilità. I superpoteri ironizzano su capacità straordinarie, ma basilari della nostra vita, come il potere dell’amicizia, dell’amore, della fiducia in sé e negli altri».
– Qual è il superpotere che l’ha aiutata a rinascere?
«Avere una buona autostima ci permette di affrontare meglio la vita di ogni giorno. Punto molto su questo aspetto anche nei corsi che organizzo: credere in se stessi e imparare a gestire le emozioni».
– Prima o poi nella vita, tutti siamo chiamati a essere caregiver di qualcuno. Qual è il suo consiglio per chi sta assistendo una persona fragile e magari sente la paura di non farcela?
«Cito Rosalynn Carter: “Ci sono solo quattro tipi di persone al mondo: quelle che sono state caregiver; quelli che lo sono attualmente, quelli che lo saranno e quelli che avranno bisogno di un caregiver”. È vero, prima o poi riguarda tutti. Il consiglio che posso dare è di non rimanere dietro le quinte. Il caregiver è molto importante e dobbiamo riconoscerlo noi per primi: sacrificare la propria vita e la propria libertà per il bene di un’altra persona è un gesto eroico. Già riconoscere questo dovrebbe farci stare meglio. È bene prendersi cura di sé dal punto di vista fisico ed emotivo. Da caregiver viviamo per due e dobbiamo avere energie per due. Serve il supporto psicologico o ancora meglio di coaching, per acquisire gli strumenti del cambiamento e riconoscere l’importanza del proprio ruolo. Il mio mantra “perché io me lo merito” mi accompagnava quando uscivo ad allenarmi ed ero piena di sensi di colpa. Ora è il titolo dei miei corsi di benessere per caregiver».

