Parte seconda

Nello scorso numero de l’Informatore è stata pubblicata la prima parte della storia del GALM, nella quale si descrivevano le ragioni di fondo per le quali si sentiva l’esigenza di unirsi per cercare di migliorare le condizioni di vita delle persone con lesione al midollo spinale, condizioni fino ad allora molto precarie tali da provocare un’assoluta emarginazione, costrette a
rimanere sempre rinchiuse in casa, senza alcun rapporto umano. La storia di quei primi mesi di lavoro e di riunioni, a casa soprattutto di amici para/tetraplegici racconta la maturazione della decisione di dar vita ad un’associazione veronese che potesse tutelare le persone con lesione midollare della nostra provincia con lo scopo di spingerle -TUTTE- ad uscire dalla loro situazione di segregazione. Raccontando la storia del GALM si tracciano i passaggi attraverso i quali nacque il Gruppo di Animazione Lesionati Midollari, fino ad essere così come è oggi..
La redazione


IL COMITATO PROMOTORE E LE SUE LINEE GUIDA

Ai pochissimi che costituirono il nucleo vitale del “gruppo” per la tutela e la promozione sociale delle persone con lesione midollare di Verona, vale a dire GUERRINO ALBERTI, TIBERIO BETTILI, GIULIO CANTERI, ROLANDO FORTINI, GERMANA GOVERNO, FERNANDA INNOCENTI, ELIO MARINELLO, GAETANO MASCHI, GINO PRESA, CLAUDIO STEVANIN, GABRIELLA VOLPE, DANTE ZANETTI, LUCIANA ZANINI ED EUGENIO MARCHESINI, si aggiunsero molti loro amici e parenti.

Anche a questi, che per ragioni di spazio o per timore di dimenticarne qualcuno non vengono qui nominati, vanno il nostro plauso e il riconoscimento per il lavoro svolto, talvolta completamente nell’ombra, per la nascita e la crescita del G.A.L.M.. Con l’inizio delle riunioni a casa di Tano Maschi fu di fatto istituito il “Comitato Promotore” di quel gruppo che successivamente si sarebbe chiamato “Gruppo di Animazione Lesionati Midollari”, del cui coordinamento fu incaricato il sottoscritto, che esercitò questa funzione fino a che il G.A.L.M. si costituì, nel 1982, in legale Associazione.

Una delle iniziative del Comitato fu quella di compiere un’indagine conoscitiva sulla realtà veronese delle persone con lesione spinale. L’obiettivo fu raggiunto senza troppe difficoltà, tant’è vero che ancora oggi mi meraviglio pensando a quanto si fece presto per contattare e conoscere le circa 50 persone lesionate al midollo spinale di Verona e Provincia. Per l’occasione ci appoggiammo anche, tramite Tiberio e Dante, all’U.N.I.T.A.L.S.I., che ci fornì gentilmente i dati delle persone con lesione spinale conosciute in occasione dei pellegrinaggi a Lourdes e Loreto. Collaborammo con l’U.N.I.T.A.L.S.I. all’inizio, ma poiché gli obiettivi principali del nascente Gruppo di Animazione Lesionati Midollari dovevano essere di preciso indirizzo socio-sanitario-promozionale e non religioso, ci perdemmo poi di vista, mantenendo però i contatti, in particolare con l’amico Tiberio Bettili.

Compiuta l’indagine conoscitiva del mondo veronese della para-tetraplegia, il Comitato Promotore si cimentò nello studio delle linee guida per il Gruppo, perché fossero il più possibile adatte per il raggiungimento delle finalità dello stesso, ormai ben individuate.

Ecco le linee programmatiche scelte a quel tempo nelle quali siamo ancora oggi impegnati, ovviamente con opportuni aggiornamenti di percorso via via riportati:

1) Animare ed aiutare le persone lesionate al midollo spinale a liberarsi dignitosamente di quella distorta mentalità di “malati” e/o “assistiti”, che a lungo andare rende apatici ed emarginati socialmente, per fare propria quella di cittadini a pieno titolo, cioè con diritti e doveri come tutti, nella comunità, anche se per farlo fosse necessario seguire altri schemi ed usare qualche ausilio in più.

2) Far capire al mondo della salute (Amministratori, Medici ed Operatori vari), che un trattamento frammentato e per brevi periodi di tempo dei pazienti con lesione midollare è un pessimo trattamento e che nessun altro fattore ha influenzato la cura e migliorato la storia naturale delle lesioni spinali quanto la precoce ammissione presso un reparto specializzato, cioè l’Unità Spinale. Unità Spinale (a quei tempi si chiamava Centro per para-tetraplegici) nella quale il paziente midollare deve seguire, iniziando fino dalla fase dell’emergenza, un programma di lavoro completo che affronti tutte le problematiche che riguardano il suo benessere psico-fisico, nel quale nessuna di esse deve essere trascurata o rimandata a momenti successivi, per un ottimale rientro in società. E’ necessario far capire al mondo della salute, che un simile trattamento non comporta spese inutili, ma è un investimento da parte della collettività, in quanto le persone a cui è rivolto possono sicuramente essere ancora utili alla stessa collettività e meno soggette ad essere coinvolti in spiacevoli e talvolta pericolose conseguenze secondarie alla paralisi. Sono così evitabili i ricoveri ospedalieri e, quindi, si risparmiano ulteriori spese.

3) Far comprendere alla collettività che per inserire o reinserire in essa le persone disabili non servono gesti di beneficenza, tanto meno se vistosamente conclamati, o privilegi, che talora possono essere discriminanti quanto l’indifferenza o il rifiuto, ma sono invece necessari adeguati provvedimenti politici e sociali. Bisogna migliorare la legislazione e soprattutto renderla operante. Al di fuori di ogni strumentalizzazione, è necessario che tutti, ed in prima fila la stessa persona con disabilità, ribaltino l’impostazione tradizionalmente pietistica del problema. La persona con disabilità può e deve diventare gestore e protagonista della propria vita, quindi bisogna metterla in condizione di farlo, non costringendola a “delegare” gli altri. Il riconoscimento dei propri diritti civili e sociali e l’impegno per la propria massima liberazione possibile debbono divenire aspirazioni comuni per tutti, quindi anche per le persone con disabilità. La persona con difficoltà che s’inserisce nel tessuto sociale a pieno titolo realizza un bene personale e comunitario di valore inestimabile. Ciò rimane immutato anche per quei casi gravissimi dove questo bene non potrà mai leggersi in termini di produzione o di rendimento: basta il fatto della sua semplice e grande presenza. Si vuole ribadire inoltre, che per raggiungere questo traguardo tutti dobbiamo cambiare mentalità. Dipende da tutti, uniti in spirito alla comunità mondiale, e in concreto a quella locale, se questi obiettivi finalmente cesseranno di essere solo parole per diventare realtà.

4) Oltre all’eliminazione delle barriere mentali e sociali, adoperarsi per l’eliminazione delle barriere architettoniche, perché costituiscono gravissimi ostacoli alla mobilità, non solo di chi si sposta con la carrozzina, ma anche delle persone anziane, malati di cuore, donne incinte o con figli in passeggino, invalidi temporanei e molti altri. Bisogna adoperarsi pertanto, talora anche con maniere forti, perché la gente si renda conto che commuoversi per un momento di fronte a un bel ragazzo o a una bella ragazza seduti su una sedia a rotelle, non serve a nulla. Proclamarsi solidali, così come per leggerezza ci si riconosce antirazzisti, senza realmente conoscere le cose in profondità, non è utile. Per risolvere i problemi è innanzi tutto necessario sapere e capire. Sapere che esistono le leggi che obbligano all’abbattimento delle barriere architettoniche, le quali possono essere di ostacolo a tutti nel corso della vita. Sapere che è un atto di inciviltà costruire una rampa di scale o una porta stretta, là dove non sarebbe più difficile o più costoso costruire qualcosa che meglio si adattasse a tutti, comprese le persone con disabilità. Capire che lo spostarsi con una carrozzina è già di per sé un disagio, uno svantaggio.

Capire che se si vuole veramente essere civili bisogna fare in modo che, al suo rientro a casa dopo essere rimasta paralizzata, nessuna persona possa ancora ripetere quanto in simile occasione ha detto anni fa un giovane tetraplegico francese, Alain Lefranc: «Mi restano pochi minuti per finire di prepararmi a difendermi dal mondo dei “sani”, un mondo di scale, di porte strette, di barriere, un mondo di parole e di atteggiamenti maldestri, un mondo che ha fretta e che si dibatte anch’esso, non ha mai tempo, il tempo di fermarsi un momento per guardare, per capire; un mondo che mette i puntini di sospensione ai suoi interrogativi. A volte generoso, troppo spesso crudele. Io lo maledirò, questo mondo e i suoi ostacoli, i suoi sguardi, la cecità e la sua fretta. Lo maledirò tutte le volte che mi farà del male».

Tratto dal libro “I trent’anni del GALM” di Eugenio Marchesini)