Sul nostro “L’Informatore”, la socia Valeria Ghidoli, cura una rubrica dedicata alle testimonianze di lavoro e di vita, intervistando soci e non che accettano di raccontare la propria personale esperienza che, senza pretesa alcuna, potrebbe essere di spunto per altri.
L’articolo qui sotto è stato appunto ripreso da una edizione passata del nostro giornalino.
Continuano i racconti delle esperienze lavorative dei nostri associati.
La persona con disabilità deve imparare a mettersi in gioco, pretendendo i propri diritti ma consapevole dei doveri di cittadino e lavoratore.
Barbara viene al gruppo di canto del Galm, “L’altro canto” coro.
Ha due figlie e un nipotino, canta anche presso i “QUASIGREEN e G.A.T. (Gruppo Altro Teatro)”, con dott. Pietro Brunelli.
Lavora al Comune di Sona. In questa rubrica si parla di lavoro, ed eccomi subito a chiederle del suo, di lavoro, e se abbia incontrato delle difficoltà, e quali…
Ma Barbara non ha un evento traumatico che le abbia cambiato la vita, a seguito del quale ci sia un “prima” e un “dopo”: la “disabilità” l’ha sempre accompagnata, e fin da piccola ha dovuto fare i conti con le sue limitazioni motorie.
È logico –dice-, è difficile quando hai delle limitazioni, ti scontri con un mondo costruito e pensato per chi non le ha. Ma a volte il blocco è dentro di noi, e, anche se non ci sono limitazioni effettive, te le crei. Però il limite fisico restringe il tuo campo di azione: ci sono cose che hai sognato di fare e non puoi fare. Da piccola, ed esempio, mi sarebbe piaciuto fare il medico o l’infermiera.
Cosa ti è successo da piccola, che ti ha portato in carrozzina? Barbara mi racconta la sua storia.
A tre mesi ho contratto la poliomielite proprio il giorno prima di fare il vaccino. Il mattino, dopo una notte difficile, mia nonna si è accorta che non muovevo più gli arti! Mi hanno portato al pronto soccorso a borgo Trento e lì mi hanno fatto la diagnosi di paralisi infantile.
I medici hanno temuto per me, dissero a mia madre che forse non sarei sopravvissuta, oppure avrei dovuto passare la mia vita nel polmone d’acciaio. Man mano però sono migliorata.
Nonostante sia andata a scuola fin dai tre anni, non mi sono mai chiesta perché io non potessi fare le cose che facevano i miei compagni; non soffrivo, riuscivo a muovermi in qualche modo. Solo alle medie la carrozzina è diventata di uso quotidiano. Delle scuole elementari ho un bellissimo ricordo, la mia maestra era molto inclusiva, i compagni avevano sempre per me un occhio di riguardo.
E quando sei andata alle superiori? In adolescenza succede spesso di sentirsi “sbagliati”…
Sì. Ho frequentato una scuola privata, con le suore, era una scuola tutta femminile, per conseguire il diploma di perito aziendale corrispondente in lingue estere.
Ho faticato 5 anni, non mi sono mai integrata completamente. Era una scuola piena di barriere architettoniche: non potevo nemmeno andare in bagno senza l’aiuto di mia mamma, che doveva venire da casa per accompagnarmi in bagno. Non ho vissuto nessun gesto di empatia nè da parte delle suore, né da parte della scuola.
Al di fuori della scuola però la mia adolescenza è stata comunque felice: anche se ora i miei genitori non potevano più accompagnarmi ovunque, ero socievole e comunque avevo la mia compagnia e riuscivo lo stesso ad attirare le persone accanto a me.
Dopo la maturità, come sei arrivata alla tua vita attuale? Hai trovato subito un lavoro?
Dopo la maturità ho avuto un’occasione: sono stata inserita in un progetto che attingeva alle “liste speciali”, finalizzato all’impiego presso il Comune di Sona.
Si trattava di un lavoro part time per 18 ore settimanali, che mi permetteva uno stipendio e l’inserimento lavorativo.
Il lavoro ti permette di vivere l’indipendenza economica e di uscire fuori di casa. Per me è stata una grande conquista; ho preso la patente e ho ottenuto un’autonomia economica. Per me il lavoro è importante. E’ dal 1988 che sono impiegata presso il comune di Sona.
All’inizio ho fatto la centralinista; poi, nel 1991, sono passata all’ufficio anagrafe con lo stesso profilo, ma con un tempo orario più lungo (ora lavoro tutti i giorni fino al sabato totalizzando 30 ore settimanali); nel ‘98 ho partecipato a un bando pubblico per l’ufficio “Anagrafe e stato civile” e sono arrivata prima. Ho avuto un cambiamento di profilo e quindi un aumento di categoria e lavoro ancora lì.
Mi trovo bene sia con l’amministrazione che con i colleghi.
Ora c’è un ricambio generazionale e alcuni hanno proprio cambiato lavoro.
In agosto 2025 potrò andare in pensione.
Come ti sei trovata all’inizio?
Quando ho iniziato a lavorare era difficile per la presenza di due persone che continuavano a litigare tra di loro; poi sono andate via e il clima si è rasserenato.
Ora vivo il lavoro in modo molto gradevole perché ci sono altri colleghi e un responsabile con cui lavoro insieme da tanti anni. La mia più grande soddisfazione la traggo soprattutto per il buon rapporto che sono riuscita a stabilire con l’utenza.
È vero che non ho fatto né il medico, né l’infermiera, ma anche qui sono in contatto con le persone: mi piace creare un rapporto con loro e venirsi incontro in caso di difficoltà. Mi fa sentire importante.
Non sei la povera invalida, ma una persona che offre un servizio con gentilezza e disponibilità.
Sento che non c’è disuguaglianza perché c’è la competenza che offro. Quando andrò in pensione, il lavoro mi mancherà.
E la Barbara cantante? Non si tratta di lavoro, perché non sei dipendente di nessuno e forse questa attività da sola non ti permetterebbe di vivere; ma esprimi quest’arte a un livello professionale, dato che con la tua band tieni vari concerti. Come ci sei arrivata?
Ero giovane, andai ad una serata con il karaoke, il conduttore ha insistito per farmi cantare, riuscì a farmi vincere la mia timidezza. Cantare mi era sempre piaciuto tanto che da piccola cantavo sul poggiolo di casa mia. Ma questa volta era diverso perché ero più grande. Tuttavia ho notato che cantare mi faceva molto bene a livello respiratorio. Quindi ho seguito un corso e ho imparato anche a leggere la musica. Ho preso lezioni di canto, ma è stato solo quando mia figlia ci ha chiesto di iscriverla all’accademia di canto, che ho iniziato anch’io a studiare canto moderno per davvero.
Barbara mi racconta poi come è arrivata al Teatro del Centro don Calabria, dell’incontro con lo psicologo dott. Pietro Brunelli, della fondazione della band con cui porta in giro brani degli anni 80-90. Le figlie hanno ereditato la sua vena artistica, e il marito la sostiene.
Nella mia vita –conclude– ho capito che non bisogna mai “fasciarsi la testa”.
A volte i medici prospettano situazioni pesanti o terribili come quella che avevano prospettato per me quando ero piccola; ma invece non si è verificata né questa né l’eventualità di bronchiti continue a cui di solito vanno incontro i bambini poliomielitici.
Da parte mia, quando sono diventata mamma ero preoccupata che le mie limitazioni diventassero limitazioni anche per le mie figlie. E invece sono stata fortunata, ho avuto la mia famiglia vicina, che mi ha molto aiutato.

