L’8 luglio scorso a Bruxelles il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo) ha tenuto un’audizione pubblica ibrida sul tema Garantire i diritti alla salute sessuale e riproduttiva per le donne con disabilità. L’iniziativa è stata l’occasione per illustrare le buone pratiche esistenti e i problemi riscontrati dalle donne con disabilità sia nell’Unione Europea che a livello globale, con una particolare attenzione al tema della sterilizzazione forzata. Ad essa hanno preso parte componenti del CESE, rappresentanti delle Istituzioni europee, attivisti e attiviste di spicco impegnati nelle organizzazioni di persone con disabilità e di donne.
Oggi solo nove Paesi dell’Unione Europea criminalizzano la sterilizzazione forzata come un reato distinto, mentre tredici ne consentono l’esecuzione sulle persone con disabilità, e in tre di questi Paesi la pratica è consentita anche sui minori. Quando si tratta dei diritti alla salute sessuale e riproduttiva delle donne con disabilità, è stato osservato in occasione dell’audizione, l’Unione Europea è ben lungi dall’essere un’Unione basata sull’uguaglianza.
I diritti alla salute sessuale e riproduttiva delle donne e delle ragazze con disabilità, infatti, restano ancora un tabù sia all’interno dell’Unione Europea che a livello globale. Private di informazioni e servizi accessibili, nonché del diritto di prendere decisioni sul proprio corpo, queste donne continuano a subire una discriminazione abietta su molti fronti, hanno argomentato le relatrici e i relatori intervenuti.
La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e la Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa in tema di violenza di genere), entrambe ratificate dall’Unione Europea, affermano chiaramente che le persone con disabilità dovrebbero godere degli stessi diritti sessuali e mantenere la loro fertilità su base di uguaglianza con gli altri. Tuttavia, il divario tra la legislazione e l’esperienza vissuta da queste persone è enorme.
Inoltre, mentre le relatrici e i relatori intervenuti all’udienza hanno accolto con favore la tanto attesa Direttiva Europea 2024/1385 (Direttiva dell’Unione Europea sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica) come un passo nella giusta direzione, l’hanno al contempo descritta come un’occasione persa, in quanto non ha adottato una definizione di stupro basata sull’assenza di consenso e non ha vietato la sterilizzazione forzata, una pratica illegale sia ai sensi della Convenzione ONU che della Convenzione di Istanbul (sulle misure poste a tutela delle donne con disabilità previste nella citata Direttiva UE si veda il seguente approfondimento).
«Il quadro legislativo adottato dall’Unione Europea è una via da seguire, ma è necessario rafforzare le norme. Sottolineiamo che ci sono forme di violenza non ancora coperte dalla legislazione, come le molestie sessuali e la sterilizzazione forzata, che devono essere criminalizzate, poiché sono ancora praticate in tredici Stati Membri», ha affermato Dovilė Juodkaitė, componente del CESE e correlatrice del Parere del Comitato, ancora in fase di elaborazione, sul tema La violenza contro le donne come questione di diritti umani: stato di avanzamento delle misure nell’UE.
In tale Parere, il CESE sottolineerà che le donne con disabilità hanno una probabilità molto più elevata di subire violenza e che quelle con disabilità psicosociale, intellettiva o con problemi di salute mentale sono maggiormente a rischio.
La responsabile del team Stop alla violenza contro le donne della Commissione Europea, Maria Rosa Mollica, ha affermato che, in base alla nuova Direttiva Europea, gli Stati Membri saranno tenuti a fornire un sostegno specifico alle donne con disabilità vittime di violenza, a tenere conto delle loro circostanze specifiche nel valutare le loro esigenze di protezione e ad adottare misure preventive mirate in formati accessibili alle persone con disabilità.
Virginia Ossana della WEI (Women Enabled International) ha affermato che le donne con disabilità in tutto il mondo subiscono regolarmente gravi violazioni della loro autonomia corporea: sono sottoposte a sterilizzazione forzata o coatta, contraccezione e aborto a tassi più elevati rispetto alle donne senza disabilità. «Le decisioni su queste procedure sono spesso prese da decisori sostitutivi come genitori, tutori o altri soggetti senza il consenso informato dell’individuo. Questa terribile violazione è spesso consentita dalla legge», ha sottolineato Ossana.
«È abbastanza sorprendente vedere che gli aborti e le sterilizzazioni forzati non siano ancora annoverati tra i reati specifici. È deludente che la Direttiva UE abbia chiuso un occhio su questo aspetto», ha affermato Ana Peláez Narváez, presidente del Comitato ONU per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (CEDAW), segretaria generale dell’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità e vicepresidente esecutivo della CERMI Women’s Foundation. «Le decisioni sui nostri corpi sono personali e private; non dovrebbe esserci alcuna interferenza da parte degli attori statali – ha dichiarato ancora Peláez Narváez –. Non dovrebbero esserci decisioni sui diritti sessuali e riproduttivi delle donne con disabilità senza il loro consenso chiaro, libero e informato. I Paesi dovrebbero assicurarsi che queste donne siano istruite e abbiano informazioni sufficienti sui loro diritti».
«L’Unione Europea ha vergognosamente fallito nel vietare la sterilizzazione forzata», ha ribadito Sara Rocha, attivista, componente del Direttivo dell’EUCAP (Consiglio Europeo delle Persone Autistiche) e vicepresidente del Comitato delle Donne dell’EDF. «L’idea abilista e paternalistica secondo cui le donne con disabilità non sono in grado di prendere decisioni sul proprio corpo o di diventare madri, la normalizzazione della violenza contro di noi mascherata da “cura” e la visione dei nostri corpi come oggetti di cui prendersi cura, invece che come potenziali prestatori di cura, hanno portato l’Unione Europea a rendersi complice di pratiche eugenetiche e violazioni dei diritti umani», ha affermato Rocha.
La sterilizzazione viene eseguita con il pretesto della gestione mestruale, della protezione contro gli abusi sessuali, della contraccezione o della facilitazione delle cure. A volte è un requisito richiesto a queste donne per essere ammesse negli istituti che forniscono assistenza. I dati su questi casi rimangono scarsi.
A queste donne viene spesso negata un’adeguata assistenza sessuale e riproduttiva o trattamenti di fecondazione in vitro e fertilità, e ricevono scarso supporto per la maternità. Inoltre, le cliniche per la salute delle donne sono sovente scarsamente attrezzate per prendersi cura delle donne con disabilità e le informazioni sui diritti alla salute sessuale e riproduttiva solo raramente sono fornite in formati accessibili.
Charlotte Olhausen dell’EUD (Unione Europea dei Sordi) ha portato l’esempio delle donne sorde che affrontano un’emarginazione sistemica e barriere comportamentali e comunicative quando accedono ai loro diritti sessuali e riproduttivi. Esiste un approccio medico alla pianificazione familiare nel quale la sordità è spesso vista in una luce negativa dal personale sanitario. Olhausen ha segnalato casi di persone sorde a cui è stato negato il trattamento di fecondazione in vitro esclusivamente in ragione della loro disabilità, o che sono state costrette ad abortire col pretesto che il loro bambino avrebbe potuto essere sordo.
Nonostante la diffusa e sistemica violazione dei diritti di queste donne e ragazze, raramente si parla dei loro diritti alla salute sessuale e riproduttiva, poiché la loro sessualità è circondata da stigma e pregiudizi.
«Nessuno sta mettendo questo argomento sul tavolo, a parte le organizzazioni non governative impegnate sul tema della disabilità – ha osservato Katrin Langensiepen, componente del Parlamento Europeo –. Abbiamo bisogno di alleati, sia all’esterno che all’interno del Parlamento Europeo e della Commissione Europea. Per favore, state dalla nostra parte».
«Potremmo parlare delle tante barriere in questo campo, del tanto stigma che esiste nei confronti delle donne con disabilità – ha concluso Sif Holst, presidente del Gruppo ad hoc per l’Uguaglianza del CESE –. Per quanto riguarda il nostro accesso ai diritti in materia di salute sessuale e riproduttiva, siamo ben lontani dall’essere un’Unione basata sull’uguaglianza e dobbiamo agire».
fonte Superanto.it