di Stefania Delendati
Forse la prima persona con disabilità ad avere assaporato un po’ di autonomia con una sorta di sedia a rotelle fu un abitante dell’antica Grecia nel VI secolo avanti Cristo, o magari un cinese intorno al 525 dopo Cristo. A queste epoche, infatti, risalgono rispettivamente un vaso e una scultura in pietra che raffigurano qualcosa di simile ad un sistema dotato di ruote per agevolare gli spostamenti di una singola persona (nel caso del vaso greco si tratta più che altro di un letto con rotelline). Sempre dalla Cina –periodo intorno al III secolo- ci è giunta testimonianza che persone malate o disabili venivano portate ad una “fonte della giovinezza” con ingombranti poltrone munite di catene a rotelle. Non vi sono informazioni sicure sugli inventori e utilizzatori di questi ausili, certo è che il semplice studio iconografico dimostra come fin dall’antichità l’uomo si sia ingegnato per affrontare e risolvere i problemi di deambulazione. Ripercorrendo la storia della sedia a rotelle e la sua costante evoluzione che ancora oggi non si ferma, scopriamo che il primo ad accomodarsi su quella che era denominata “sedia per invalidi” fu il re Filippo II di Spagna. In un’incisione del 1595, infatti, si vede l’illustre disabile sulla seggiola progettata su misura per lui, dotata di una pedana per appoggiare i piedi e, grande comodità di uno schienale reclinabile. Niente di automatico, ovviamente, la sedia era a spinta, ma siamo certi che il sovrano non avrà avuto difficoltà a trovare servitori disposti a portarlo a spasso! Fu proprio nel XVI secolo che i medici iniziarono a prescrivere l’aria aperta e il contatto con la natura come “terapia” per le persone con qualche invalidità; diretta conseguenza fu la produzione di sedie adatte al trasporto.
La svolta arrivò nel 1655 grazie all’estro dell’orologiaio tedesco Stephan Farffler. Nativo di Norimberga e appassionato di invenzioni, rimase paralizzato agli arti inferiori all’età di 22 anni. Il desiderio di indipendenza lo portò a creare il primo modello di sedia a rotelle che non necessitava dell’aiuto di terzi per muoversi. Considerato a posteriori come l’antenato dei tricicli, il “veicolo” di Farffler era una sedia montata su un telaio con tre ruote, quella anteriore con maniglie su entrambi i lati con cui ci si poteva spingere in avanti con la forza delle braccia. Un’invenzione che non ebbe il successo che avrebbe meritato, in effetti si trattava di un modello artigianale e un po’ primitivo. Doveroso dire che le persone con disabilità avevano una breve aspettativa di vita per la mancanza di cure, e gli spostamenti, anche all’interno delle abitazioni, erano alquanto difficoltosi per le numerosissime barriere architettoniche. Pur tuttavia nel 1783 l’inglese John Dawson sviluppò su quella falsariga un prototipo con due grandi ruote posteriori e una piccola anteriore, da guidare con una maniglia rigida. La brevettò come “sedia Bath”, dal nome della sua città, ma anche stavolta c’era un grande limite: il mezzo era molto costoso e pesantissimo, l’unico modo per spostarlo era farlo trascinare da un cavallo o da un asino. Si procedeva per tentativi, insomma, ma che l’idea di regalare possibilità di movimento cominciasse a farsi strada è ancora una volta tangibile nell’arte. Fu in quegli anni, precisamente nel 1761, che l’artista Peter Jacob (o Jakob) Horemans per la prima volta immortalò su una tela una sedia a rotelle nella camera da letto del castello di Nymphenburg, a Monaco di Baviera. Dobbiamo poi spostarci nella Francia della Rivoluzione, a Parigi, per fare la conoscenza di un mezzo che ha fatto la storia. Lontano dai circuiti turistici più battuti, poco distante dal Centro Pompidou, si trova il Musée Carnavalet, nel quale vengono conservati cimeli che narrano la storia della Ville Lumière. Tra essi, la poltrona a rotelle di Georges Couthon, deputato giacobino e amico di Robespierre, con il quale condivise la passione politica e la tragica fine. Affetto fin da giovane da una patologia invalidante progressiva, Couthon ricevette in dono una sedia meccanica proveniente da Versailles e appartenuta in precedenza alla Contessa di Artois. È in legno, con comode imbottiture e rivestita da un tessuto giallo ocra, modificata agganciando alla base un carrello di legno, di quelli usati per trasportare materiali, e un poggiapiedi per rilassare le gambe. Ciò che la rende unica sono tre ruote e un ingegnoso meccanismo collegato ai braccioli. Azionando due manovelle, l’ingranaggio trasmette il movimento alle ruote e consente spostamenti autonomi sui terreni piani.
Occorre poi aspettare il secolo successivo per un piccolo ennesimo miglioramento. Il 10 giugno 1846 lo scozzese Robert William Thomson brevettò l’applicazione di supporti elastici intorno alle ruote, un sistema che diminuiva lo sforzo e attutiva il rumore in movimento. Ancora qualche anno e nel 1869 fu la volta di una sedia semovente alquanto ingombrante, ma ancora difficilmente trasportabile. Si può dire che nel XIX secolo ci si dedicò soprattutto al comfort della persona seduta: oltre allo schienale reclinabile e ai poggiapiedi regolabili, vennero infatti aggiunti i corrimano per aiutarsi nella spinta e le ruote a raggi. Ne sapeva qualcosa Giuseppe Garibaldi, affetto da artrite reumatoide, che nella sua casa di Caprera, quando ormai la malattia lo aveva quasi costretto all’immobilità, poteva ancora scrivere ed essere spostato con tre sedie a rotelle, a tutt’oggi conservate nell’abitazione-museo dell’isola. Una con scrittoio gliela regalarono gli amici, un’altra il Comune di Milano, e la terza, il non plus ultra dell’epoca con scrittoio, leggio e paralume, fu un dono della Regina Margherita di Savoia. Nacque invece da un’amicizia la prima versione pieghevole in acciaio tubolare. La progettò nel 1932 Harry Jennings per l’amico Herbert Everest, e fu quest’ultimo ad avere l’intuizione di fondare una società, la Everest Jennings, che nei successivi decenni conquistò il monopolio del settore. Una fetta di mercato, però, l’aveva già acquisita la ditta Pascoli & Zucchini di Bologna, dove “Pascoli” indica il fratello del celebre poeta. Un manifesto dell’azienda datato 1902 pubblicizzava sedie a rotelle, barelle da campo e letti per ospedali, presìdi che ebbero tristemente “successo” durante la prima guerra mondiale. E ci volle un altro conflitto globale, il secondo, per produrre le prime sedie a ruote elettriche, molto simili per aspetto a quelle moderne. Le inventò George Klein per i veterani feriti, anche se già dal 1916 alcuni modelli erano disponibili in Gran Bretagna.
Non era invece “motorizzata” la seggiola di uno dei personaggi più influenti della storia contemporanea: il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt. La disegnò egli stesso: una sedia da cucina con schienale rigido sulla quale fece montare un poggiapiedi, due piccole ruote posteriori e due grandi anteriori, basse, in modo da consentire il passaggio laterale su una seggiola normale. Non aveva braccioli né freni, era leggera per permettere movimenti rapidi e stretta in modo da poterla caricare sul sedile posteriore dell’auto. Pare che nel corso della lunga carriera pubblica di Roosevelt gli siano state scattate trentacinquemila fotografie, ma soltanto in due di queste compare la sua seggiola “speciale”. L’ausilio, che è stato protagonista nell’ombra, dal 1997 è sotto gli occhi del mondo nel monumento al centro di Washington, una grande statua bronzea che mostra il presidente del New Deal sulla sedia a rotelle.
Il progresso tecnologico aprì nuove possibilità, non più soltanto la mobilità nella vita quotidiana, ma la pratica motoria e sportiva. Lo capì Ludwig Guttmann, l’ideatore nel 1948 dei primi Giochi Paralimpici non ufficiali. Era un medico neurochirurgo, dirigeva il National Spinal Injures Centre dell’Ospedale Stoke Mandeville, vicino a Londra, una struttura che negli Anni Quaranta accoglieva soldati reduci della guerra per la riabilitazione. Il medico si rese conto che lo sport aveva benefìci nella prevenzione e nella terapia, se ne giovavano la massa muscolare e quella ossea e si prevenivano le piaghe da decubito, per non parlare dei positivi effetti psicologici. L’handbike fu la naturale evoluzione della sua idea. Apparsa per la prima volta ai Giochi di Atene nel 2004, aveva un telaio in alluminio, piuttosto pesante, che non teneva conto della resistenza aerodinamica. Non vi erano dettagli personalizzati, gli atleti gareggiavano in due sole categorie, in base alle capacità residue, e in due competizioni, individuale e cronometro. Di pari passo con lo sviluppo delle biciclette pro fessionali da corsa, le handbike di oggi sono mezzi futuristici, non paragonabili agli “antenati” di soltanto una decina d’anni fa. L’alluminio è stato sostituito dal più leggero carbonio, sia per il telaio che per i cerchi delle ruote. Le ruote posteriori non sono più scampanate, ma dritte, per garantire maggiore stabilità e reattività nelle curve; sono scomparsi i cavi per regolare i rapporti, sostituiti da un sistema wireless. L’atleta è in posizione quasi orizzontale e indossa caschi e occhiali come quelli dei ciclisti. Ogni particolare viene curato in maniera maniacale, sulla base del tipo di disabilità e delle caratteristiche sportive della persona. Già si vedono nuovi veicoli con diverse geometrie del telaio, ad esempio ruote posteriori più piccole e pedivelle accorciate, per evitare eccessive escursioni articolari di spalle e gomiti soprattutto nei rettilinei, dove non servono brusche accelerazioni e frenate.
Come nell’automobilismo, dove ogni innovazione prima o poi passa alle auto su strada, così nelle sedie a rotelle lo sport diventa terreno di prova per migliorare i mezzi utilizzati nella vita quotidiana. La sperimentazione unita alla tecnologia pensa a progetti rivoluzionari, come le sedie controllate dagli impulsi neurologici che arrivano direttamente dal cervello, mentre è già stato messo in commercio un modello che si solleva su due ruote per fare le scale e attraversare sabbia, ghiaia e acqua in sicurezza. Per concludere, un appunto. Di solito la chiamiamo “carrozzina”, oppure “carrozzella”, ma si tratta di un errore (e faccio mea culpa!). “Carrozzina”, infatti, è quella per i neonati, e dicesi “carrozzella” il piccolo mezzo trainato da cavalli per il trasporto delle persone. Ragion per cui in questo articolo sono stata bene attenta a scrivere sempre correttamente “sedia a rotelle”. A tal proposito, si sarà notata qualche ripetizione di troppo, però la lingua italiana è salva!