La notizia è il lancio a giugno di due nuove Barbie: la prima in carrozzina, la seconda con una gamba artificiale. Non so se avverrà solo negli Stati Uniti o se l’iniziativa sbarcherà anche in Italia, dove la mentalità è più diffidente, ma provo ad immaginare uno scaffale nel negozio di giocattoli su cui si troverà in offerta la nuova bambola, esposta insieme alle altre. Gli adulti alla ricerca di regali passano, vedono e rimangono con lo sguardo inchiodato lì.
Ecco, io ci ho riflettuto tanto, chiedendomi quale significato potrebbe avere: l’oggetto kitsch regalato da una zia, un’azione buonista della mamma che compra una bambola “diversamente abile”, e chissà quali altri. Ho pensato anche che potrebbe risultare semplicemente bella e simpatica, per qualcuno. Ci ho visto il desiderio di pari diritti delle persone con disabilità – intenzione con cui in effetti è nata questa Barbie, ideata insieme a Jordan Reeves, tredici anni, nata senza l’avambraccio sinistro e, per il modello in carrozzina, con l’UCLA Mattel Children’s Hospital di Los Angeles. Ho anche valutato il dubbio che si tratti di una strategia pubblicitaria di efficace impatto, per assicurare alla Mattel un vantaggioso ritorno d’immagine.
Tutte queste ipotesi potrebbero dimostrarsi vere, almeno in parte, ma non bastano per convincermi. Ritornando all’immagine del negozio e al comportamento dell’acquirente che fissa la strana novità sullo scaffale, alla fine dei conti credo che il vero significato stia lì: nell’impatto che ha sulla gente, che rimane colpita, magari anche scandalizzata, ma non indifferente. Barbie, icona del corpo perfetto senza cervello, questa volta costringe a pensare.
Che venga acquistata non conta; infatti per i bambini non ci sarebbe nessuna differenza nel giocare con quella Barbie o con un’altra. I piccoli non hanno pregiudizi, e -tutti noi lo constatiamo quotidianamente- ai loro occhi la carrozzina è piuttosto un oggetto di interesse o un divertimento appena possono salirci su. È inutile fare una campagna di sensibilizzazione sui bambini di quella età.
Il vero “bersaglio” per Barbie sono i genitori, coloro che nella crescita quotidiana dei propri figli trasmettono i segnali su come guardare alla realtà. Quelli che tirano di lato inutilmente i bimbi se tu in carrozzina devi passare, non per una forma di rispetto, ma per banale ignoranza. Quelli che tra i compagni di scuola ne vedono uno con disabilità e sottovoce dicono “poverino” attribuendogli così dei limiti a priori. Quelli che, per inesperienza della vita o per superficialità di ragionamenti, costruiscono giorno dopo giorno le barriere e gli stereotipi nella testa dei ragazzi di domani. Davanti allo scaffale dovranno per forza riflettere, e ancora di più si troveranno in un dilemma se la figlioletta è attirata da quella bambola lì più colorata e con le ruote. Perchè a essere sinceri lei è bella e affascinante in entrambe le versioni, non si può negare, ed entra negli occhi.
Un secondo obbiettivo per questa Barbie siamo, a mio avviso, proprio noi persone disabili: nella nostra abitudine a considerarci diversi dagli altri, a volte mettiamo i nostri problemi davanti al resto del mondo e ci dimentichiamo che non siamo il centro di gravità. Lei, elegante e spontanea in mezzo alle sue compagne di altre forme, ci ricorda che viviamo in mezzo ad altri uguali a noi, amici parenti colleghi. Lei ridimensiona la nostra preoccupazione, perchè fa della disabilità un gioco.
In conclusione quindi, ben venga che la espongano, che l’immagine sia diffusa su internet, che si veda il più possibile. Per quanto kitsch o inutile possa sembrare, il suo messaggio è efficace.
Valentina Bianco