Sul nostro “L’Informatore”, la socia Valeria Ghidoli, cura una rubrica dedicata alle testimonianze di vita e di lavoro, intervistando soci e non che accettano di raccontare la propria personale esperienza che, senza pretesa alcuna, potrebbe essere di spunto per altri.
L’articolo qui sotto è stato appunto ripreso da una edizione passata del nostro giornalino.
La persona con disabilità deve imparare a mettersi in gioco, pretendendo i propri diritti ma consapevole dei doveri di cittadino e lavoratore.
Avevo conosciuto Massimo nell’inverno di un paio d’anni fa, quando mi sono resa conto di far troppa fatica a caricare la mia superleggera in auto. Mi stavo perciò orientando all’acquisto di una carrozzina in carbonio e magnesio, ma avevo bisogno di una consulenza qualificata. Tra sanitarie, passa-parola e internet sono approdata ad una carrozzina che sembrava adatta a me, e ho incontrato Massimo. È lui che ha portato a farmi provare quattro carrozzine presso una Sanitaria, ha osservato la mia taglia, la postura, ha ascoltato le mie esigenze, come fa (o dovrebbe fare) uno specialista di prodotto con competenze tecniche.
Massimo, è tanto che fai questo lavoro? Ci racconti la tua storia?
Sì, la mia storia parte da molto lontano: mi sono fatto male nel 1989. Avevo 19 anni e lavoravo presso l’azienda dei miei genitori, una impresa per le decorazioni edili. Non potevo più lavorare lì, ma desideravo molto raggiungere una mia autonomia, lo volevo a tutti i costi, e alla fine ho trovato lavoro come tecnico presso una Sanitaria di Verona, “Italia- Verona”.
Veramente avrei dovuto iniziare presso una filiale di produzione americana, ma questi mi avrebbero assunto solo sei mesi dopo. Nel frattempo, trovo lavoro presso la stessa Ortopedia che mi aveva proposto per la filiale Americana di produzione, sita in Borgo Trento, a Verona, e lì mi sono trovato benissimo: iniziai a praticare come Partita Iva, per poi diventare il loro agente tecnico di commercio nel settore riabilitazione.
Mi è piaciuto da subito perché capivo tutto facilmente. Avevo 23-24 anni! Imparare, mettersi in gioco, fare tutti i corsi di formazione, mettersi a confronto con tutte le aziende di produzione italiane ed estere sugli ausili che stavano in quel periodo veramente crescendo in maniera esponenziale, specialmente da noi che fino a vent’anni fa erano poco considerati poca cosa… è stato un mondo per me è fantastico, che mi permetteva di conoscere e far conoscere tutte le novità!
Eri giovane… hai vissuto anche limitazioni o pregiudizi?
Non vorrei sembrare troppo ottimista, ma sinceramente non so se per il mio modo di pormi o per l’entusiasmo che avevo, davo importanza solo a quello che potevo fare. La disabilità mi ha limitato veramente poco, sia perché comunque godevo di molta autonomia nella gestione personale, sia per la collaborazione che trovavo da parte anche dei clienti stessi.
Tante volte erano utenti finali – perciò disabili anche loro – oppure erano familiari di persone disabili, e capivano che avevo una marcia in più proprio per la mia stessa disabilità. Infatti, riuscivo a capire le loro problematiche e a proporre delle soluzioni.
Sì, anche per me è stato così: la consapevolezza del fatto che avevi una situazione analoga alla mia, mi ha aiutato molto, mi ha dato fiducia. Ero certa di poter contare su qualcuno che sapeva cosa vuol dire.
La soddisfazione è proprio quella di riuscire comunque a portare la mia formazione e trasformarla, non solo quella sulla patologia attinente, ma estendere la risposta tecnica anche per altre patologie che avrebbero potuto beneficiare di quell’ausilio o di quella soluzione.
Le strutture capivano che c’era da parte mia disponibilità e quindi comprendevano l’aiuto vero che andavo a proporre. Forse ho trovato qualche difficoltà con le barriere architettoniche, dovevo capire l’accessibilità del luogo in cui andavo, ma in genere le persone erano molto disponibili, si trovava un accesso diverso, un’alternativa; magari scendevano loro.
Lavori tuttora presso questa ditta?
Sono rimasto lì per sette anni, poi sono andato in Officine ortopediche Rizzoli in cui ho lavorato altri tre anni, poi sono passato un altro paio d’anni alla Ortopedica Scaligera. In seguito l’esperienza di vendita, unita alla competenza tecnica, mi ha fatto cambiare indirizzo: mi sono dedicato maggiormente al rapporto con le aziende, invece che a quello con l’utente finale.
In effetti il rapporto con ogni singolo utente è un investimento emotivo, ti pone in un’ottica di lavoro molto parcellizzato.
Sì: se non chiamato per collaborazione, non è più mia competenza la valutazione diretta, ma solo la raccolta/proposta di soluzioni diverse per ogni problema. Si va in Ortopedia per fare la consegna e il collaudo dell’ausilio con loro, si propone il campionario creato in base alle diverse esigenze degli utenti, si ascolta le nuove esigenze per un miglioramento del prodotto.
Quali sono le problematiche di cui tener conto nel proporre un ausilio?
L’utente che esce dalla riabilitazione con una patologia (potrebbe essere anche una patologia degenerativa), o una disabilità, è in continua evoluzione e va seguito con costanza. Bisogna tener conto anche del suo grado di autonomia, di quale tipo di autonomia, in quale ambito lavorativo è inserito, se è gestito dai famigliari o da un assistente, ecc.
Chi esce da un evento di questo tipo, quali aspettative ha?
Chi esce da un evento con una disabilità importante oggi ha maggiori tutele di quante ne avesse vent’anni fa: c’è maggior possibilità di inserimento lavorativo, può cambiare mansioni all’interno della stessa azienda, a livello legislativo ci possono essere integrazioni e aiuti.
Tuttavia, le caratteristiche individuali restano importanti: la disabilità comporta una sfida con te stesso, la capacità di mettersi in gioco per affrontare il quotidiano in un modo che ti permetta di fare una vita normale.
Ora tu sei “arrivato”: ma quali sono stati i tuoi approcci con le istituzioni di ricerca del lavoro?
Beh, all’inizio mi hanno sbattuto tante porte in faccia. Le aziende pagavano solo una multa modesta, se rifiutavano l’eliminazione delle barriere architettoniche richiesta dalla mia disabilità. Per loro era un costo in più, e preferivano pagare la multa, rifiutando la mia assunzione perché l’ambiente di lavoro non era idoneo.
C’erano due categorie: o il pubblico, o il privato. Potevi fare una o due iscrizioni l’anno. Se la disabilità era importante, era più probabile ottenere il posto, soprattutto nel pubblico, perché lo inseriva nei propri servizi sociali ai quali dava lavoro. Questo faceva comodo all’ente pubblico. Oppure, chi trovava un lavoro abbastanza facilmente era un disabile lieve – senza disabilità motoria -, perché la ditta o l’ente non era costretto ad eliminare le barriere architettoniche.
Si corre anche un rischio mobbing?
Certo! Inoltre, corri il rischio di passare per assenteista, perché naturalmente ti devi sottoporre a dei controlli medici o usufruire della legge 104. Eppure, è difficile che una persona disabile non dia il meglio di sé, sia per un fattore di orgoglio personale, sia per esigenze economiche: il disabile va incontro a molte spese, a fronte di una pensione irrisoria, che unita all’indennità di accompagnamento arriva appena agli 800 euro (i quali poi diventano 500 se lavori come dipendente).
Quindi si ha veramente la necessità di lavorare.
Com’è stata la relazione con i colleghi?
In realtà il mio lavoro è abbastanza individuale. Da giovane ho lavorato in piscina con mansioni d’ufficio. Non mi gratificava particolarmente, anche se, attraverso il contatto col pubblico, ho capito che era quella la mia strada. Ora mi appassiona la tecnologia, la ricerca di soluzioni per la persona con disabilità. Vedo un’evoluzione, una trasformazione delle scelte di oggi. Oggi posso scegliere una carrozzina che tra due anni potrò implementare con nuovi dispositivi. Questo mi appassiona. (ci viene in mente la canzone di Ivano Fossati, “Costruzione di un amore”: la carrozzina diventa parte di te, la ami, e se possibile la vuoi rendere più performante).
Come potremmo definire ora il tuo lavoro?
Sono un agente tecnico plurimandatario specialista di prodotto per carrozzine, di un’azienda italiana che fabbrica carrozzine superleggere, e di carrozzine elettriche di un’azienda americana con sede in Italia che fabbrica altri tipi di prodotti per la mobilità personalizzata.
Il mio è un lavoro di semina: propongo, provo ausili, poi c’è una parte burocratica che riguarda le pratiche dell’utente, le autorizzazioni ecc.; il risultato mediamente lo ottengo dopo tre mesi di lavoro.
E i tuoi genitori?
Loro mi hanno sempre lasciato una grande libertà di autodeterminazione. Mi hanno appoggiato in tutte le mie scelte, non mi hanno mai condizionato, non erano iperprotettivi, hanno sempre rispettato le mie scelte.
Prima di congedarci, a Massimo viene in mente un episodio relativo ad una eventuale assunzione, tanti anni fa.
Era l’anno 1990, avevo mandato un curriculum anche all’ULSS di un grosso paese di provincia. Mi chiamano per un colloquio. Era l’epoca prima di Mani Pulite. Il presidente mi fa delle domande, mi chiede quali competenze avessi, io dichiaro la mia voglia di imparare. “Va bene -mi dice- la faccio chiamare per l’assunzione”.
Due ore dopo mi chiamano: con ferma gentilezza mi spiegano che avrei dovuto pagare 10 milioni di lire oppure garantire un certo numero di voti all’amministrazione. “Ci penso” gli dico. Mi richiamano altre tre volte, ma ai miei genitori chiedo di non sborsare nulla, non mi andava di pagare per un posto di lavoro. Dopo due giorni questo Presidente fu condotto via in manette: probabilmente non ero stato l’unico a ricevere questo tipo di richiesta.
Concludiamo scambiandoci con amarezza ricordi di quel periodo, quando mazzette e voti di scambio erano considerati cosa normale. Chissà se ancora oggi è così. Poi a Massimo viene in mente un’altra esperienza, l’Agenzia di viaggio per disabili.
Dimenticavo… Ho fatto una esperienza di lavoro diversa da questo ambito ma attinente, nel senso che con un mio caro amico, essendo lui ed io appassionati di viaggi ed avendo viaggiato e conosciuto le problematiche delle persone con disabilità in prima persona, nella fattispecie con ausili diversi, nel 2011 abbiamo aperto una agenzia viaggi tradizionale, ma con indirizzo per persone con disabilità.
È stata una bella esperienza che era iniziata bene, e che per un po’ sono riuscito a sostenere: mandare in viaggio un po’ di utenti affetti da disabilità diverse, era stata una grande soddisfazione!
Ma poi due problematiche non mi hanno più permesso di continuare questa attività. Infatti, i tour operator non si prendono responsabilità di certificare e garantire accessibilità ai loro villaggi, se non in strutture a costi non da tutti sostenibili. Inoltre, l’avvento di network come “Booking” ha rivoluzionato il mondo delle agenzie di viaggio, ridimensionando un mercato di cui prima erano unico interlocutore.